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Buddha vide un vecchio, un ammalato ed un funerale, da li capì che il mondo era caduco ed imperfetto |
Inserisco di seguito un capitolo del mio libro "Il Velo di Maya" - Corrispondenze e analogie tra Buddhismo, Cabala
e Taoismo, credo sia importante ai fini della comprensione del nostro ruolo in
questa dimensione karmica
Qual’è il nostro rapporto con il Velo di Maya? Qual è
il collegamento tra noi e la Creazione? Esiste un punto di contatto che fa da
“ponte” tra la nostra individualità (a
sua volta frutto dell’oggetto trattato in questo scritto, ovvero gli Skanda). Diciamo
che questi “Aggregati” sono un po’ gli apparati che ci pongono in grado di
muoverci nell’ambiente circostante, un po’ come i vari sensori che mettono i
robot in grado di muoversi senza scontrarsi con i muri o contro gli oggetti che
incontrano nel loro cammino. Tutto ciò che esiste è instabile ed è così perché
è vuoto di sé, è privo di un’esistenza intrinseca ed autonoma : non vi è alcun
elemento permanente, immutabile ed eterno negli esseri e nelle cose. Anche
nella coscienza di ognuno di noi ci sono certe propensioni e tendenze che pur relativamente durevoli e costanti - si
alterano col tempo. Tutto non è altro che un insieme di fenomeni fisici,
biologici e psichici in perpetua trasformazione - si tratti di uomini o
animali, di alberi o rocce, di nubi od onde e tutto perché creato dall’iniziale
passaggio tra naturante e naturato, tra 0 ed 1. La nostra vita è un insieme di
algoritmi matematici che “pilotano” la nostra esistenza, l’unica varietà che la
rende differente è il differente approccio culturale ed individuale di ognuno
di noi.
Secondo la versione Buddhista esistono dei punti di
collegamento tra noi ed il Velo di Maya che si chiamano “Skanda” e sono
definiti i “Cinque Aggregati”.
Gruppi di fenomeni interdipendenti e funzionalmente
connessi tra loro, agglomerati di dharma reagenti gli uni sugli altri, mutevoli
ed in continuo divenire. Tali raggruppamenti però non possono esser
considerati “parti” distinte di cui la cosa o
l’individuo è composto, ma solo come aspetti diversi di un processo
indivisibile. Anche noi siamo formati dagli skandha, che sono i costituenti
psico-fisici della persona umana : questa ha relazioni col proprio ambiente
grazie agli skandha, per i quali abbiamo coscienza dell’esistenza e
comunichiamo col mondo che ci circonda.
Riceviamo le informazioni del mondo esterno grazie
alla “sensazione” e le nostre “concezioni” derivano dalle informazioni ricevute
; la nostra “volontà” allora ci spinge all’azione ; queste funzioni sono
sostenute e mosse dalla “coscienza”.
Nessuno skandha è qualcosa di autonomamente esistente,
essi sono inseparabili tra di loro, ma sono anche impermanenti ; aldilà degli
skandha non c’è nulla, e quindi non c’è un ‘io’ né un’anima : non c’è un essere
statico, personale e permanente, o un principio ontologico eterno a cui una
persona possa essere ridotta, ma c’è solo il continuo aggregarsi e divenire dei
5 skandha. E parlare di un ‘io’ è come quando si dice “un pugno di riso” (che
in realtà non è un’entità, ma una molteplicità di chicchi). In effetti, l’ ‘io’
è un evento effimero, non sostanziale, prodotto dalla somma convergente dei 5
skandha ; la loro combinazione, per la durata di un’esistenza, mantiene con
continuità la stabilità apparente dell’individuo in quanto persona definita.
Sono essenzialmente il risultato del karma e costituiscono la base di
sperimentazione della sofferenza individuale.
E’ l’ignoranza che ci fa considerare come un’unità
autosussistente, come se non fossimo composti di parti e come se fossimo
permanenti. Ed è sulla base di questa visione erronea che nasce in noi la
distinzione tra l’ ‘io’ e il ‘tu’, il ‘mio’ e il ‘tuo’e quindi l’attaccamento e
l’avversione, con tutte le conseguenze karmiche che sappiamo.
Dal punto di vista psicoanalitico applicato al
Buddhismo possiamo notare che Nella tradizione Buddhista i differenti stadi di
sviluppo dell'Io sono classificati come i 5 Skanda. Gli Skanda sono gruppi di
funzioni della coscienza dell'individuo connessi tra di loro. Essi sono:
1) Gruppo del sensorio
2) gruppo dei sentimenti
3) gruppo della rappresentazione discriminante e delle
percezioni
4) gruppo delle formazioni mentali e del carattere
individuale
5) gruppo della coscienza che è coordinatrice delle
precedenti funzioni.
Essi rappresentano 5 fasi di un completo processo di
coscienza indivisibile.
Di istante in istante i 5 Skanda sono ricreati in tal
modo che sembra che il dramma dell'Io sia ininterrotto. L'aggrapparsi
all'apparente continuità e solidità dell'Io , il cercare continuamente di
mantenere l' 'Io' e il 'Mio' è la radice della nevrosi". In altre parole
il continuo sforzo di mantenere rigidi confini tra noi e gli altri, il porre
distanza evitando il contatto per non essere divorati dal "mostro"
dell'intimità e dalla consapevolezza delle nostre emozioni cozza contro
l'inevitabilità del mutamento, con la sempre ricorrente morte e rinascita
dell'Io, e perciò causa sofferenza. Evidentemente più si lotta per ottenere
piacere e per evitare il dolore e più si crea insoddisfazione.
Per poter uscire da questo condizionamento, dalla
"prigione dell'Io", è necessario ritrovare uno stato di coscienza
centrale e vuoto da conflittualità. Una caratteristica universale della
meditazione è proprio la sua "centralità". Abbiamo simboli differenti
che la rappresentano nelle diverse tradizioni: la croce, la rosa, il sole, il
cuore, il loto, il mandala, ecc. Questi simboli evocano la nozione di un centro
come punto di equilibrio e di integrazione tra le polarità, come un luogo entro
di sè ove il conflitto dualistico ha termine. (ricordiamo il Qabbalistico
ritorno all’unità attraverso il passaggio tra le varie Sephira per arrivare
all’Uno) Questo è il cuore dell'essere, il luogo ove si è se stessi e si
conosce se stessi. Nella formulazione Buddhista la natura di tale centro è
vuota. E' questo il concetto di "Sunyata" che letteralmente significa
"senza fondo" e che è la caratteristica del punto di incontro tra le
polarità (e qui mi viene il mente il Rebis o Androgino Ermetico) . E' proprio
il nostro continuo evitare questa condizione di vuoto che ci spinge ad
aggrapparci alle sensazioni nella nostra continua ricerca del piacere e di
evitamento del dolore. E' comunque importante sottolineare che questo stato di
vuoto e centralità non è da intendersi come di una condizione priva di
sentimenti, poichè ciò non sarebbe che una mezza verità; piuttosto ciò che
bisogna realizzare è uno stato transpersonale e non una mera inazione. Si
tratta cioè di quella condizione chiamata nel Buddhismo di
"equanimità" (upekka) e che non significa essere privi di sentimenti
o di reazioni verso il nostro prossimo. In tale condizione non si è più
cronicamente ancorati a ruoli stereotipati, a una facciata, ma ci si lascia
andare alla propria natura senza giudicarla., avendo raggiunto così uno stato
di "testimone distaccato" in grado di osservare imparziabilmente la
propria relazione con tutti gli altri senza "interrompersi" in
continuazione. "L'uomo perfetto usa
la mente come uno specchio. Non trattiene niente; non rifiuta niente; riceve,
ma non prende" (Chuang Tse).
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