Il sole tra le fessure delle persiane solletica le palpebre,
la sveglia ancora non è suonata ma si preannuncia già una giornata splendida,
Mario si stira con un sospiro di sollievo sorridendo inconsciamente.
Già da tempo era prigioniero sotto una cappa di stress e
nervosismo, il lavoro, i colleghi, le invidie per i successi personali, quel
risveglio era un delizioso invito all’ottimismo e un ottimo inizio.
Dopo le consuete abluzioni mattutine ed una colazione sobria
a base di caffè e fette biscottate (gustata con diletto e soddisfazione quasi
insolita) Mario da un bacio alla moglie già pronta per uscire, si sono presi
entrambi un breve periodo di ferie per allentare di un poco la tensione. Dopo
un ultimo e frivolo sguardo di Lina allo specchio, posto quasi di fianco
all’uscio, eccoli pronti per immergersi nella città. Subito un sorriso complice
illumina i volti della nostra coppia, una trentina di anni sono passati
dall’ultima volta in cui hanno marinato la scuola insieme, probabilmente lo
stesso pensiero li ha colpiti nel medesimo istante… sincronismo junghiano? Sta
di fatto che l’atmosfera quasi trasgressiva li colpisce sin nel profondo.
Questo stato di tranquillità attira, come avviene nei
passaggi tra stati sintropici e stati entropici, in cui quasi per una necessità
cosmica, ogni stasi debba essere il preludio di una fase dinamica, tutta una
serie di variabili stocastiche, che ineluttabilmente portano a situazioni
perturbanti la tranquillità stessa.
Quando siamo tranquilli sembra che il karma stesso si rivolti
indignato e reagisce creando variabili che vanno ineluttabilmente (?) a nostro
discapito. Un esempio è proprio dato dal nostro Mario e consorte che abbiamo
lasciato sulla porta di casa per una rilassante passeggiata…
Che bella giornata di sole! Cielo terso, qualche nuvoletta
che sembra uscita da un libro di illustrazioni per bambini, uno zefiro gentile
che rende l’atmosfera ancora più amena.
Sottobraccio alla moglie Lina, compagna di sempre,
conosciuta ai tempi del liceo, fu subito il classico colpo di fulmine, tre anni
di fidanzamento poi il matrimonio, sincero, voluto da entrambi, con la buona
pace delle rispettive famiglie.
Le vie solitarie si intercalavano con i negozi in cui
ferveva un onesto e laborioso fermento, scarpe, vestiti, antiquariato, in cui
facevano bella mostra di se, mobili antichi, muti testimoni di decenni e
decenni di eventi karmici, alcuni gioiosi, altri drammatici. Questo itinerario
sembrava quasi tracciare un percorso turistico, ecco come si sentivano!
Turisti, turisti presi in prestito al loro lavoro, così stressante, così
anonimo e grigio, tutto il contrario della loro vita interiore, lavoro che gli
serviva solo per pagare una vita con qualche lusso, ma che in cambio gli
regalava regolarmente confezioni di analgesici per l’emicrania e bustine di
antiacido.
Parlavano e parlavano e i passi si intrecciavano ai
discorsi, come rami di uno splendido e florido rosaio, la loro fiamma d’amore
non si era mai spenta né attenuata ed ardeva ancora nonostante gli anni
trascorsi, ma se prima era una fiamma che bruciava come un sole, adesso era
controllata dalla matura consapevolezza.
Ad un tratto Mario sente come un brivido subdolo e viscido,
come una mano zozza che gli sfiora l’anima, “che strana sensazione” pensa, come
se fosse venuto a contatto con un’entità tombale.
Il cielo, dapprima solcato da piccole ed innocue nuvole
simili a sbuffi di fumo di una pipa, sembra oscurarsi di colpo, nuvole
minacciose somiglianti a cavalli imbizzarriti si rincorrono minacciose, i due
si guardano continuando a tenersi per mano, ma un velo di inquietudine sembra
passare sul viso di Lina facendola apparire in bianco e nero.
Mario che si era accorto del leggero, impercettibile,
cambiamento d’umore della moglie, sembra voler sigillare quel momento di
allegria iniziando a raccontare le disavventure di un suo ex collega di lavoro,
tal Gennaro Barigozzi, che da qualche anno faceva una vita quasi da recluso a
causa della psoriasi (data dalle innumerevoli delusioni d’amore) che lo faceva
simile ad una maschera di terracreta, ed ecco spuntare di nuovo il sorriso,
timido come un raggio di luna, ancora stentato ed insicuro, ma presente.
Incrociano una via, due vie, ed ecco spiegato il brivido di Mario… Gennaro era
lì.
Come un tronco vinto dalle intemperie e piegato dal tempo
era lì. Gennaro. Dopo anni che non lo vedeva era di fronte a loro, con un
espressione di eterna sconfitta stampata sul volto deturpato sembrava un
predatore in attesa del pasto. Ferale come solo uno sconfitto sa fare, maligno
come solo un perdente sa essere, un cesellatore di perfidie sa scegliere gli
episodi con cui mettere in imbarazzo i suoi sventurati interlocutori, sembra
sappia tutto di tutti e mette in pratica gratuitamente i suoi dia-bolici piani
solo per il gusto di abbassare il prossimo al proprio infimo livello.
Con una secca inspirazione, come avesse pestato una vipera,
Mario lo fissa; le labbra come una “O” gli occhi spalancati, il primo momento
di stupore viene ben presto sostituito da un sentimento di odio viscerale, a
stento si trattiene dal gesto irrazionale di stampare un pugno in piena faccia
a quell’essere viscido e dannoso. “Ciao Mario che piacere rivederti” bercia
l’omuncolo deforme con voce alta e querula, alta sino all’imbarazzo, “Come sta
la tua bellissima Adele?”. Sbaglia di proposito il verme, perché sa che quello
è il nome della sua ex con cui aveva avuto una breve storia in un momento in
cui con Lina c’era stata una rottura. Lina accusa visibilmente il colpo con uno
sguardo pieno di amarezza … il ghigno pieno di denti, persino troppo pieno.
A denti stretti, così stretti che Mario crede a stento che
la voce possa uscire dalla sua bocca, esce un saluto al limite della cortesia,
“Ciao Gennaro, tutto bene?” Se avesse ponderato a fondo sull’opportunità se
porre o no quella domanda, avrebbe sicuramente optato per il no, dannata
cortesia.
Le prime gocce iniziarono a cadere sul terzetto mal
assortito con allegra persistenza, mentre Gennaro parlava delle sue delusioni,
(il cui contraltare in termini di soddisfazione per la molestia che arrecava ai
suoi interlocutori era di gran lunga sproporzionato verso il suo personale
appagamento), il monologo tedioso ed uniforme non accennava a smettere mentre
la pioggia non accennava a diminuire, anzi.
Ad un tratto, a piccoli passi, li condusse (sempre parlando
dei suoi guai) verso un portone, e (sempre parlando dei suoi guai) si riparò
sotto l’arco, appoggiandosi con la schiena ad esso, ovviamente lasciando fuori
alla pioggia i due malcapitati che non avevano il coraggio di slegarsi da
quello sfruttatore della pazienza altrui.
Dopo sguardi accigliati tra i due coniugi e frasi di
commiato cadute nel vuoto dell’egoistica indifferenza, ad un tratto Gennaro
usci con la frase “Beh, sono arrivato a casa” vi saluto!” Ed con un sardonico
sorriso trasse di tasca delle chiavi, le infilò nel portone a cui era
appoggiato ed entrò, non senza aver lanciato un ultimo sorriso di scherno alla
coppia sbigottita.
Bagnati e al limite della disperazione, corsero sotto un
portico per chiamare un taxi.
Questo piccolo racconto narra del rapporto quasi simbiotico
del prototipo di “parassita energetico” (o parassita karmico) con le sue
vittime, che subiscono il suo attacco,
rimanendo negativamente trafitte dai suoi strali emozionali simili a
vere e proprie armi d’attacco.
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