sabato 23 maggio 2015

L’Accidia come inerzia di vivere








Dante li colloca nel V° Cerchio, nella palude di fango del fiume Stige sotto i piedi degli iracondi che scalciano, mordono, si graffiano e si percuotono senza sosta mentre Flegias, il demone traghettatore percorre instancabile il suo percorso attorno alla città di Dite (chiusa da una cinta di mura dall'aspetto ferrigno (le mura mi parean che ferro fosse, munite di alte torri che appaiono rosse alla vista come se di foco uscite / fossero a causa del foco etterno / ch'entro l'affoca).
Sono sotto il fango, così come sotto un fango interiore vivevano quando erano viventi, ribollendo di un ira intima, desiderosi di vendetta e di rivalsa su tutti coloro che incappavano nella loro rabbia, ma che non erano mai riusciti ad esprimere a causa di una svogliatezza che non gli permetteva nessuna azione di cambiamento, un’indolenza che non permette nessuna metamorfosi o miglioramento.
Erroneamente convinti di meritare ciò che in realtà sarebbe da conquistare attraverso un atto volitivo, si adagiano pigri su una noia simile alla depressione, Dante infatti nel “Convivio” considera l’accidia come “un vizio per difetto dell’ira”.
Oggi, nel traffico della metropoli, volti inerti come quelli delle statue, pietrificati in una interiorità più simile alla stasi, milioni di persone si fanno vivere addosso situazioni, sentimenti, frustrazioni, in preda alla procrastinazione più turpe. Farò, gli dirò, smetterò, inizierò, cambierò … tutte parole vacue e non più vive di una bolla di sapone. Intenzioni durevoli come un tuono, iniziano con il fragore delle buone intenzioni per scemare in un brontolio che a poco a poco svanisce. Ecco la parodia della vita, anelare, ambire, desiderare, sognare, il tutto senza una vera convinzione, con la consapevolezza che il desiderio dura tanto quanto la lontananza con l’oggetto desiderato. Poi di nuovo il nulla, alla ricerca del nuovo e del bello e dell’esclusivo.


Tutti moti di rivalsa per ciò che gli altri non possono ottenere, il tutto per mascherare quella cicatrice dell’anima che è la mediocrità.
Gli accidiosi, quelli che non riescono a trarre profitto dalla vita terrena ora ribollono calciati dagli iracondi. Brutta fine vero? Nonostante ciò, milioni di persone piene di buoni propositi rimangono invischiate nel passaggio tra il volere ed il fare, come già cercassero di abituarsi al fango della palude Stigea, ignavi ed indolenti lasciano che i loro figli conducano la loro vita tra alcool e droghe, che le loro mogli (o mariti) si concedano la scappatella con il loro collega di lavoro… normale, tutto normale, tutto nella abituale ordinari età. Guerrieri virtuali senza nessuna forza, arma o disciplina non riescono ad ubbidire nemmeno a loro stessi, in una abulia senza fine che li vede passare dall’ufficio al divano e dal divano al letto, tristi marionette che solo il vento del karma fa muovere in modo scomposto e a tratti drammatico.
Solo la volontà ferma e durevole può cambiare un karma che conduce nel vortice dell’accidia, una volontà in grado di trasformare il vizio in virtù o che ne mitighi gli effetti più nefasti.
A volte anche una persona antipatica può cambiare il proprio karma cercando di sorridere di più, o una persona pigra può intraprendere un cambiamento iscrivendosi il palestra per vincersi.

Basta porsi un obbiettivo, che possa trasmutare il nostro interiore in modo da riflettere anche sull’esteriore, solo così si può modificare un karma destinato ad una lenta percorrenza verso l’ineluttabile fine… sotto i piedi degli iracondi.

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